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Da oggi in poi dovremo abituarci a tre diversi vocaboli da tenere distinti:

  1. il matrimonio: è la tradizionale unione tra un uomo e una donna, regolata dal codice civile e dalle leggi speciali sul diritto di famiglia. È l’istituzione per “eccellenza” che conferisce la massima tutela alla coppia, anche nel caso in cui le nozze vengano celebrate unicamente in chiesa: l’unione, infatti, ha automatico effetto anche per lo Stato italiano (cosiddetto matrimonio concordatario);
  2. le unioni civili: sono le unioni tra omosessuali. L’insieme dei diritti e dei doveri è molto simile alla tutela prevista per le coppie sposate se non per alcune differenze (come l’obbligo della fedeltà);
  3. i contratti di convivenza: sono le unioni tra soggetti maggiorenni di sesso differente, ma che hanno preferito di non passare per il matrimonio tradizionale.

Come si stipula un contratto di convivenza?
Le persone conviventi sono liberi di scegliere se siglare o meno un contratto di convivenza, che quindi non costituisce un obbligo e, pertanto, possono decidere di lasciare il tutto senza l’ombrello della tutela dello Stato.
Il contratto deve essere necessariamente scritto e può essere redatto come atto pubblico notarile o come scrittura privata con le firme autenticate dall’avvocato.
Nel primo caso ci si può recare dal notaio; nel secondo caso, invece, l’accordo può essere redatto dall’avvocato.
L’accordo deve essere conservato ufficialmente: il professionista deve infatti trasmettere l’atto al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.
Il contenuto del contratto è sostanzialmente libero: le parti possono indicare i rispettivi obblighi e diritti come, ad esempio, le modalità di cooperazione e collaborazione ai bisogni della convivenza. Inoltre dovranno regolare il regime patrimoniale, optando per la comunione dei beni o la separazione. Inoltre potranno stabilire quanto dello stipendio va nella cassa comune o quali spese sostiene l’uno o l’altro dei conviventi.
Il “divorzio” (il termine è ovviamente improprio, perché, in questo caso si parla di risoluzione del contratto o, per usare un termine comune “scioglimento”) può avvenire anche per volontà di uno solo dei due partner, volontà a cui l’altro non può opporsi. Nel caso di rottura della convivenza non c’è l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento, ma solo quello degli alimenti nel caso di stretta necessità economica del compagno e comunque per un periodo di tempo proporzionale alla durata della convivenza.

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